RAGAZZI DI VITA @ Teatro Argentina

RAGAZZI DI VITA

di Pier Paolo Pasolini
drammaturgia Emanuele Trevi
regia Massimo Popolizio
con Lino Guanciale e Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò, Verdiana Costanzo, Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Lorenzo Grilli, Michele Lisi, Pietro Masotti, Laurence Mazzoni, Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Silvia Pernarella, Elena Polic Greco, Francesco Santagada, Stefano Scialanga, Josafat Vagni, Andrea Volpetti
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
canto Francesca della Monica
video Luca Brinchi e Daniele Spanò
assistente alla regia Giacomo Bisordi
Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale

(Roma – Teatro Argentina, 15>27 ottobre 2019)

info http://www.teatrodiroma.net/doc/6448/ragazzi-di-vita

https://www.youtube.com/watch?v=pzb-KuCd8J0
(intervista audio all’attore Lino Guanciale, venerdì 22 dicembre 2017)

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archivio pubblicazioni

intervista a Massimo Popolizio, regista dello spettacolo RAGAZZI DI VITA

L’Opinione, sabato 29 ottobre 2016

http://www.opinione.it/media/1372501/01-02-03-04-05-06-07-08_291016.pdf (pg.7)

http://www.opinione.it/cultura/2016/10/29/raponi_cultura-29-10.aspx

Un’adolescenziale vitalità di borgata che arriva su un grande palcoscenico. Ancora nell’ambito del lungo quarantennale dell’uccisione di Pier Paolo Pasolini, il Teatro di Roma porta uno dei suoi scritti più importanti – ‘ragazzi di vita’ – all’Argentina (fino al 20 novembre), con la drammaturgia di Emanuele Trevi e la recitazione di diciannove giovani attori/attrici. Incontriamo Massimo Popolizio, che di questo spettacolo firma la regìa.

– Com’è stata articolata la messinscena, che vede una selezione di “quadri”, continui cambi di scenografie, una coralità di interpreti?

«Tra il primo capitolo del libro, in cui il protagonista Riccetto salva una rondine durante un bagno al Ciriola, stabilimento balneare sul Tevere, e l’ultimo, dove invece lui non fa nulla per soccorrere un ragazzo, Genesio, che muore nelle acque del fiume Aniene, l’interno è stato come un taglia e cuci delle situazioni più teatrali che abbiamo trovato nel romanzo. Il patto che abbiamo fatto con Graziella Chiarcossi, che ne detiene i diritti, è stato quello di non cambiare – nello spettacolo – nemmeno una parola di Pasolini: non è un adattamento, una sceneggiatura, una “fiction”, ma esattamente il testo originale, lì dove la parte narrativa e quella dialogica si scontrano; e questo scontro dà adito a una materia secondo me molto libera, dal punto di vista teatrale, per invenzioni e soprattutto figure. Gli attori fanno molte parti, dico sempre che si passano una sorta di testimone da una scena all’altra».

– Rispetto alla pagina scritta, ci sono delle particolarità nell’allestimento?

«Il libro è frutto di un “editing” molto forte, Garzanti è andato giù duro nel taglio per presentare un testo di un certo numero di pagine. È curioso notare che una delle scene, “la passione del fusajaro”, nella prima edizione del 1954 era stata tagliata, e noi l’abbiamo rimessa dentro. Forse nel romanzo era un in più, ma nello spettacolo ha un bell’impatto, anche emotivo».

– Tornando all’episodio del Riccetto: uno dei punti centrali dell’opera è l’epocale cambiamento dei valori, l’avvento del consumismo – negli anni successivi al dopoguerra – per cui i beni arrivavano a valere più delle persone.

«Non è uno spettacolo sociologico, ma poetico, anche perché – se vogliamo ritrovare quell’innocenza del ’54, che già qualche anno dopo Pasolini dava per perduta – forse dovremmo andare in un villaggio africano, dove magari combattono per un paio di scarpe. C’è qualcosa di universale nel libro, e che vale ancora adesso, e cioè un gruppo di diseredati che vive nella periferia – del mondo, non soltanto di Roma – e combatte furiosamente per conquistarsi un piccolo posto in Paradiso. L’aspetto commovente è che gli sarà negato, nessuno ci arriverà: uno per malattia, uno perché arrestato, uno perché muore, uno perché si butta dalla finestra dell’ospedale per non finire “ar gabbio”. È una forsennata, disperata ricerca di un angolo di felicità, che però non avranno, ed è questa la sostanza vera che accomuna il romanzo con l’oggi».

– Pasolini viveva anche una lacerazione tra il suo mondo d’appartenenza, borghese, e le periferie che viveva e alle quali guardava.

«Io parlerei di un atto d’amore, lui era friulano, e una volta venuto a Roma si innamora di questo mondo, di questo modo di essere. Per prima cosa si innamora della lingua, la assorbe e la fa sua, tant’è che il romanesco del libro a volte è anche inventato, frutto di contaminazioni varie, si tratta di una vera e propria lingua. C’è poi un innamoramento per una serie di personaggi che – come mi ha spiegato molto bene Emanuele Trevi – sono intercambiabili, perché è il gruppo che conta. Come invece succede in ‘una vita violenta’, con Tommasino, qui non c’è una storia che riguarda ognuno di loro, non li segui, il libro è un insieme sparpagliato di “flash”, una smitragliata di eventi. In questo, lo spettacolo è pertinente al libro, lo rispecchia, perché i diciannove ragazzi hanno l’idea d’insieme. Pochissimi anni dopo, Pasolini userà parole molto forti, dirà che su questo mondo è stato compiuto un “genocidio”, e il termine glielo passi perché non lo usa un sociologo, un economista, un politico, ma un poeta attraverso la sua lente».

– Rispetto al coinvolgimento delle scuole, nelle quali gli attori dello spettacolo vanno a incontrare gli studenti?

«È fondamentale per un teatro, anche per il Teatro di Roma che non ha un ufficio specifico come il Piccolo di Milano, dove lavoro spesso. Ben vengano, anzi ringrazio gli attori che oltre alla fatica delle prove vanno negli istituti, non per presentarlo, ma per rendere più consapevoli i ragazzi rispetto a ciò che andranno a vedere. Da come stanno andando gli incontri, mi sembra che i più giovani abbiano una certa empatia con lo spettacolo, che non è soltanto una serie di scene romanesche, altrimenti sarebbe un varietà televisivo che non ha nulla a che vedere con quel linguaggio lì. Credo che l’accostamento a questo lavoro sia un pochino più complesso e raffinato, nonostante rimanga popolare».

Federico Raponi

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