Flavio Bucci – DIARIO DI UN PAZZO

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intervista a Flavio Bucci, attore dello spettacolo DIARIO DI UN PAZZO di Nikolaj Vasil’evic Gogol

Terra, giovedì 25 novembre 2010, pg.12

Ancora in sella, nonostante tutto.
Per Flavio Bucci, ‘diario di un pazzo’ di Nikolaj Vasil’evic Gogol’ è uno storico pezzo forte, e sfidando lunghi problemi a una gamba, tre operazioni e la sedia a rotelle, lo sta portando in scena a Roma.
L’attore veste i panni di un impiegato – il cui lavoro consisteva nel temperare matite al suo capufficio – che, una volta impazzito, si identifica con il re di Spagna. L’opera racconta del trattamento manicomiale nella Russia del 1832: percosse, camicie di forza, rasatura dei capelli, docce d’acqua fredda, la società tentava di liberarsi dei “diversi” e, anche se non dava fastidio a nessuno, il protagonista della storia è sottoposto ad un regime estremamente violento.

– A proposito di questo aspetto, su cosa ha voluto focalizzarsi?
«Non cerco mai di attualizzare i testi, questo è rimasto così com’è perché cattura sul piano emotivo, parla di cose che agli spettatori forse sono sconosciute, fa prendere coscienza di ciò che è stato. Mi fa piacere soprattutto che vengano a vederlo molti giovani, vuol dire che non ha perso forza e aggressività».

– Lo interpreta dal 1988. Perché una tale adesione a un testo e a un ruolo?
«É il mio cavallo di battaglia, un personaggio che ho amato e amo molto fare. Solitamente, da attore è anche un gran divertimento, ma purtroppo ora sono debilitato, stanco fisicamente e psicologicamente. Da nove mesi esco da un letto per salire su una sedia a rotelle, è un’enorme fatica. Vorrei farlo in maniera diversa, potrei dare molto di più».

– Nonostante il suo spettacolo vada bene, in generale quest’anno si registra una forte diminuzione del pubblico teatrale.
Quali, secondo lei, le ragioni?
«É un grande momento di crisi, anche culturale. Il meccanismo dell’abbonamento non serve più, non ha più senso nella misura in cui su dieci spettacoli la gente ne vuole andare a vedere due. La cultura vive sempre fasi alterne, nel teatro si parla sempre di crisi ma, in un modo o nell’altro, va avanti da duemila anni. In fondo, se uno spettacolo ha un senso, una validità, il pubblico lo trova».

– Al contempo, c’è anche un momento di visibile rivendicazione unitaria nel mondo dello spettacolo.
«Il problema è soprattutto il grosso taglio dei fondi. Ma non c’è solo questo, ormai la gente è abituata alla televisione, ai comici del piccolo schermo, per cui esce a vedere quello, e poi basta. Io, che faccio le turnèe da 42 anni, alcuni spettatori li vedo una volta e poi mai più. Va il fenomeno del momento, tutto è fruito così. Non è cultura, questa».

Federico Raponi

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