Andrea Caccia (‘VEDOZERO’)

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intervista ad Andrea Caccia, regista del film collettivo ‘VEDOZERO’ (I, 2009)

Terra, mercoledì 30 marzo 2011, pg.12

Un articolato mosaico di visioni giovanili.

Il progetto del film collettivo ‘Vedozero’ «coniuga il mio interesse per il cinema diaristico – spiega il regista Andrea Caccia – con quello per l’insegnamento del linguaggio cinematografico nelle scuole. Nelle quali, ho tenuto spesso laboratori, e, negli ultimi tempi, mi ero reso conto che il racconto della Settima Arte, e la sua incidenza, si perdevano nel vuoto, i ragazzi ne sono molto lontani, perché per un diciassettenne di oggi essa non rappresenta quello che significava per un coetaneo vent’anni fa. Allora, invece di obbligarli alla visione dei classici come Roberto Rossellini, a cui spero arriveranno poi dopo, ho pensato di utilizzare lo strumento che tutti hanno in tasca, e con il quale si producono tante immagini e – ahimé – anche tanto immaginario».

Caccia ha, quindi, dato a settanta ragazzi di 16-18 anni, di tre classi, un “nickname” di registi ormai scomparsi e un videofonino cellulare ciascuno, chiedendo loro di tenere per cinque mesi un diario «per guardare sé stessi, raccontarsi e comprendere che, dietro ogni immagine, ci deve essere un pensiero, l’assunzione di responsabilità del cineasta. Allo scopo, abbiamo realizzato un sito Internet, sul quale i ragazzi caricavano il materiale filmato. Così, mi sono ritrovato – ricorda – con quasi quattromila video, ognuno da un minuto, un formato scelto da una parte per gestire più facilmente le operazioni di “up-download”, dall’altra per far capire loro che il cinema è fatto di tante inquadrature».

Ne è venuto fuori una composizione fatta di tante tessere, «pezzi di un difficile ma straordinario momento della vita, perché quell’età non ha un disegno preciso, usato invece troppo spesso, soprattutto al cinema, per raccontarla».

Nella prospettiva di quegli esordienti, il regista ha scoperto, oltre a qualcosa di riconoscibile e familiare, anche altri imprevisti aspetti positivi.

«Nei diciottenni – rivela – sotto sotto ci sono le stesse cose che avevo io a quell’età. Per me, quindi, una via per approcciare al materiale, e poi al montaggio, è stata quella di sentire dentro al loro sguardo l’eco del mio di allora. Ovvio che le sovrastrutture sono cambiate tantissimo, ma, in essi, ho trovato molto della mia adolescenza, ad esempio una delicatezza che non viene mai presa in considerazione quando si parla dei giovani. Inoltre, dopo un paio di mesi di lavoro, è emersa una capacità di sguardo propria del cinema alto: un giorno mi è arrivata un’inquadratura, realizzata pedalando, identica a quella che c’è in un film del 1929, ‘Pioggia’ di Joris Ivens, uno dei più grandi documentaristi della storia. E allora mi ha sorpreso – conclude Caccia – la possibilità di stabilire un dialogo, per il quale vanno trovati dei modi, e in questo la scuola, ma anche il mondo culturale “tout-court”, hanno una grossa responsabilità».

Federico Raponi

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