‘L’AMORE FATALE’

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recensione del film ‘L’AMORE FATALE’ (enduring love) di Roger Michell (GB, 2004)
CinemaInvisibile.it, aprile 2005
 
Improprio parlare d’ amore, se con tale termine si intende scambio, crescita, espressione vitale; abbiamo a che fare piuttosto con una pulsione autodistruttiva ed ossessiva.
In apertura ed epilogo, i due potenti momenti cardine, il primo metafora dell’altro. Nonostante la tensione progressiva, nel finale l’irrompere di una violenza fulminea colpisce efficacemente proprio in virtù dell’essere inaspettata, dono poco diffuso in un cinema di abitudine al sangue. Analogamente avviene per l’avvicendamento dei tormenti: prima il senso di colpa, poi la comparsa di uno psicopatico mettono in crisi il rapporto tra Joe e Claire, scultrice (ben resa la scoperta dell’allontanamento sentimentale di lei attraverso bozzetti e teste d’ argilla).
 
Del resto Roger Michell, versatile regista di TV, teatro e altamente variegata filmografia (l’impudicamente liberatorio ‘the mother’ il risultato migliore), ha la capacità di spiazzare.
All’inizio – in un silenzio agreste rotto dal vento – una rossa mongolfiera fuori controllo e letale, la cui facile interpretazione solo a posteriori lascia presagire l’andazzo ed il senso del film. A rafforzare il concetto della pericolosità di pulsioni affettive accecanti, seguiamo l’impatto emotivo della morte del congiunto generare travisamento, portando a trasformare in fedifrago il ricordo di un marito modello.
 
Dal romanzo di Ian Mc Ewan, scrittore conosciuto anche in Italia, con un terzetto d’attori che dopo gli esordi alla fine degli anni ’90 sono ora, per il pubblico internazionale, tra i più riconosciuti rappresentanti della scena celluloide del Regno Unito.
Inquietudine incombente come il plumbeo londinese.
 
Federico Raponi

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